Trascrizione di un testo
redatto da Rav Bruno G. Polacco (z.l.), Rabbino Capo della
Comunità Ebraica di Livorno, presumibilmente per un intervento
al Tempio Maggiore in occasione di Pesach.
Non sono state riportate
le citazioni in ebraico, comunque riprese anche in italiano.
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Nessun avvenimento
storico-religioso, fra i molti che arricchiscono la nostra
storia, ha mai influenzato la vita sociale religiosa, morale
e giuridica d’Israele, quanto l’evento che da millenni
indichiamo col nome di Pesach (Pasqua), o con le espressioni
di “uscita dall’Egitto”,”festa delle azzime”, oppure “epoca
della nostra indipendenza”.
Nella Torà, in cui ha
pieno valore di “precetto affermativo”, il dovere di
rimembrare oltreché di celebrare di anno in anno in forma
degna i fatti che,nel loro complesso,resero possibile
l’esodo di un intero popolo dal paese in cui aveva trascorso
430 anni di durissima schiavitù, è più volte enunciato e ciò
prova in modo
probante l’importanza e l’influenza che l’evento ha
esercitato in ogni settore del pensiero ebraico.
Non poche sono infatti
le mitzvot (precetti ,ndr) che ad esso esplicitamente si
ispiranoo addirittura da esso traggono origine.
Vedasi ad esempio, tanto
per citarne alcune : in Shemoth (Esodo-ndr), agli effetti
dell’enunciazione e della prescrizione del monoteismo
assoluto che dovranno praticare gli Ebrei,nel comandamento,
Dio collega questo tipo di culto che esige dal suo popolo
con l’Uscita dall’Egitto; e in Devarim (Deuteronomio-ndr),
dove il Decalogo è ripetuto con lievi varianti, il ricordo
dell’epico evento è strettamente connesso al precetto
dell’osservanza del sabato; le stesse festività di Shavuoth
e di Succot – che con Pesach formano il trio delle
ricorrenze gioiose dette i “tre pellegrinaggi” perché in
esse ogni ebreo aveva l’obbligo di presentarsi al Tempio di
Gerusalemme ed ivi esternare la sua letizia – e le mitzvot
(precetti – ndr) dei tefillin (filatteri) e dello zizit (al
plurale ziziot ,le quattro frange che si trovano agli angoli
del talit,il “manto da preghiera” – ndr), tutte si
richiamano al “ricordo dell’esodo dall’Egitto” ; un’ultima
ne citiamo,il cui elevatissimo valore morale, e sociale, non
ha bisogno di commento tanto è evidente : la prescrizione di
rispettare il forestiero che viva im ambiente
ebraico,perché, dice la Torà “voi che siete stati forestieri
in terra d’Egitto,conoscete lo stato d’animo del
forestiero”.
E come un eco fedele,
ininterrotto e concorde, alle norme della Legge, il pensiero
dei Maestri che ricevettero la Torà dai successori di Mosè e
gelosamente la conservarono immutata nella lettera e nello
spirito, sottolinea l’importanza dell’evento pasquale e la
influenza da esso esercitata su tutto lo svolgimento della
vita ebraica nel decorso dei secoli,caldamente perorandone
il perenne ricordo.
Dice la Torà
(Deuteronomio XVI°,3) : Affinchè tu ricordi il giorno della
tua uscita dal paese d’Egitto, tutti i giorni della
tua vita”, ed essi, i Dottori della Legge, gli interpreti
per antonomasia del
Verbo divino, i minuziosi indagatori del testo biblico
perennemente intenti ad acquistarne una sempre più vasta
cognizione,accademicamente osservano : - Nel versetto in
esame la parola “tutti”, appare superflua in quanto anche se
omessa dal contesto, il senso della frase non ne verrebbe
minimamente a risentire; ma poiché la Torà non indulge al
pleonasmo e in essa nemmeno una sola lettera è ridondante,
l’inserimento di questa parola deve avere un ben determinato
fine, Un fine ovviamente educativo, visto che la Torà ha
funzione eminentemente educativa : quindi, un insegnamento;
implicito, perché espresso tramite un “remez”, cioè a dire
un accenno fugace, diretto a coloro che essendo colti , sono
in grado di afferrarlo e di illustrarlo a chi sia meno
edotto di loro. E quale è,dunque,questo insegnamento?
L’insegnamento è questo, chiosano i Dottori - : “Se la Torà
avesse detto semplicemente “i giorni della tua vita”,il
significato del versetto sarebbe stato quello “che il
ricordo dell’Uscita dall’Egitto deve accompagnare l’uomo
ebreo per il corso completo della sua vita terrena”, ma
avendo aggiunto quel “tutti”, essa ha voluto specificare
“tutti i cicli di tua vita”, tutti cioè quei periodi di
tempo in cui avrai la vita.
In altre parole, “ogni
qualvolta l’ebreo trascorra quel periodo di tempo che in
termini umani è detto vita”, egli è tenuto a ricordare il
suo esodo dal paese del Nilo, “perfino nel corso di quella
vita che gli è riservata nei tempi messianici”.
Ciò premesso, è ben
naturale ricercare, a titolo di “derash” festivo (tipo di
lezione-ndr),quale sia il motivo che ha dato all’Uscita
dall’Egitto tanta importanza e la ragione per cui esercitare
un’influenza tale da compenetrare di sé l’Ebraismo in ogni
sua mani9festazione.
Scontato il valore del
fatto storico-politico in sé stesso, e cioè che Pesach ha
dato al popolo ebraico quella libertà che gli ha consentito di divenire quello che
è divenuto; ammesso l’incontrovertibile asserto che, senza
Pesach, non avrebbero potuto aver luogo quegli eventi che le
furono conseguenti e
che originarono le altre ricorrenze che li celebrano,
l’elemento unico cui trarre la risposta al quesito nostro è il concetto di
indipendenza, libertà, nella sua più ampia accezione e autonomo da ogni e
qualsiasi ragione pertinente
alla religione e alla storia di Israele, elevato al
grado di principio fondamentale dell’etica sociale.
Israele che, memore
della promessa che Dio aveva fatto agli antichi Padri di
liberare i loro discendenti dalla schiavitù che avrebbero
sofferto in Egitto, Israele che aveva sopportato per secoli pene
materiali e morali in attesa dell’evento che gli avrebbe
consentito di godere, meritatamente, il bene inestimabile
della libertà e che, a prezzo di una durissima prova
protrattasi per generazioni era pervenuto all’acquisizione
dell’esperienza necessaria a comprenderne l’incomparabile
valore, non avrebbe potuto intendere il senso e il fine di
una legge che non fosse pervasa – nella lettera e nello
spirito, nella teoria e nella prassi-di libertà.
Ciò, a nostro
avviso,spiega anche il perché dinanzi al Sinai, all’atto
solenne della promulgazione della Torà, Israele disse a Mosè
“eseguiremo e poi ascolteremo”, come a dire : “le
spiegazioni atte ad illustrarci questa Legge ce le darai in
seguito”, ben sapendo che una legislazione generata dalla
libertà non poteva contenere che norme fondate sulla libertà
e accettabili in piena libertà di coscienza.
Giusto appunto quanto
Dio gli aveva detto tramite il Legislatore : “Questa legge
che io oggi ti prescrivo di osservare non è da te disgiunta
o lontana; anzi, ti è molto vicina: è nella tua mente e
nella tua bocca,perché tu la possa eseguire.”
Ecco perché la Torà,
fondendo indissolubilmente i concetti di “libertà” e di
“giustizia” in quanto dove non c’è libertà non c’è nemmeno
giustizia, richiama incessantemente alla mente dell’uomo
ebreo e al suo cuore l’idea della “libertà” e, in nome di
essa, tutela l’orfano, la vedova, l’indigente,lo schiavo e
il forestiero.
Se così non fosse, se
l’ideale della libertà non impregnasse di sé la Torà, la
Legge che con commovente, indefettibile, fedeltà i nostri
padri ci hanno conservato e trasmesso come il nostro supremo
bene, non avrebbe carattere d’eternità né potrebbe
sopravvivere, intangibile, ai periodi in cui la libertà sia
politica,sia sociale che religiosa si riduce a pura
espressione verbale quando addirittura non viene soppressa.
E noi, ahi noi,di simili
periodi, a tutt’oggi,ne abbiamo conosciuti anche troppi!
Di ciò perfettamente
edotti,i nostro venerati Maestri, non solo non hanno
trascurato occasione per sottolineare questo peculiare
concetto della Torà, ma altresì ne hanno tratto il monito
implicito che, ogni qualvolta ci si allontani da esso,si
verifica “la negazione del principio fondamentale e
basilare” della libertà e, in conseguenza,della Torà stessa
che su di esso verte.
Monito grave per chi
come noi è così sensibile alla libertà di coscienza,di fede
e di ideali, ma nello stesso tempo, fervida esortazione alla
fiducia in Colui che alla prima liberazione farà seguire
quella finale preconizzata dai Profeti, se sapremo rimanere
fedeli al principio millenario della libertà e vorremo
mantenerlo vivo ed operante in noi.
Voglia Iddio concederci
per molti anni di mostrarci come se fossimo usciti
dall’Egitto, e nei nostri giorni si avveri il detto
midrashico : “in Nissan furono redenti e in Nissan lo
risaranno ancora”
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