Il testo non è datato ma,da alcuni riferimenti che contiene, è riconducibile al 1957, quindi nel periodo di rabbinato a Ferrara. Non è chiaro quale ne sia stato l'utilizzo : il fatto che riporti un titolo potrebbe indicare che fosse per un articolo o,forse,per una conversazione radio. Non parrebbe un discorso "da Sinagoga" in quanto tutti i termini ebraici sono stati riportati in italiano : ulteriormente, i suoi testi da leggere in Sinagoga recano generalmente non un titolo vero e proprio ma l'indicazione della ricorrenza e l'anno.Per certi versi,anche nello stile,appare un tenero ricordo che,in particolare per gli accenni a Brustolon e Longhena, porta a Venezia.Anche lo stile, più "antico" si differenzia dagli altri interventi ad oggi trascritti ma le basi della visione ebraica del lutto unito alla fede per il ritorno alla vita e alla felicità , unitamente allo spirito sionista , emergono chiaramente anche in una visione di ottimismo nel constatare la rinascita dello Stato d'Israele "risorto dal sacrificio di
milioni e milioni dei suoi morti e dal volere dei suoi figli attuali" . Il testo è stato trascritto fedelmente,sempre possibili sviste o ,comunque assai marginali,errori di trascrizione.
“IL 9 DI AV E LA
LITURGIA EBRAICA”
Il 9 del mese di Av dell'anno ebraico 3830, corrispondente
al 70° dell'E.V. - di domenica secondo una tradizione riportata nel Talmud - ,
sulle rovine di Gerusalemme riverberate dai bagliori di un immane braciere, si
ripercuotevano frammisti : il sinistro fragore di un terribile crollo, il grido
d'angoscia di migliaia di creature umane e la melodia di un salmo
all'improvviso troncata.
Il più triste tra gli infausti presagi che la fantasia
popolare di quel tragico periodo della storia ebraica avesse creato, la visione
cioè del Tempio circondato da un cupo alone di luce foriera di calamità,si era
fatalmente avverato.
Distrutto dall'incendio che il tizzone di un attaccante
romano aveva irrimediabilmente scatenato,il Santuario del Dio Unico sprofondava
in un mare di fumo e di fiamme, rinchiudendo in una tomba di incandescenti
macerie gli ultimi eroici difensori dell'indipendenza ebraica che in esso si
erano asserragliati, nel vano tentativo di resistere alle quattro poderose
legioni comandate da Tito e rispettivamente guidate da Petilio Ceriale,
Traiano, Tario Puso e Tullio Furio.
Perivano uomini giovani e vecchi, donne e bambini e, con
essi, in volontario supremo sacrificio, schiere e schiere di solerti Sacerdoti
e Leviti cantori, incapaci di sopravvivere alla distruzione del Santuario e
alla cessazione di quei riti suggestivi la cui celebrazione era stata affidata
dall'Eterno in retaggio ai discendenti di Aronne o ai membri delle Tribù di
Levi.
La punizione che l'onniscienza di Dio aveva preconizzato
nella legge del Sinai per l'infedeltà del suo popolo e i Profeti
incessantemente annunciato, si stava compiendo.
Il fulcro della vita religiosa e spirituale di Israele,
crollava : l'indipendenza era perduta e, mentre Roma glorificava la guerra
vittoriosa con cui Tito aveva privato della libertà un piccolo ma indomito
popolo, imprimendo nelle sue monete l'orgogliosa affermazione “Judaea capta Judaea
devicta”, già si profilava il processo di sfacimento della nazione che avrebbe
frazionato e disperso durante 20 secoli il popolo ebraico.
“Giusto sei Tu o Signore e ineccepibile è la Tua sentenza!
“
Insensibile all'instancabile voce ammonitrice delle sue
guide spirituali, Israele aveva peccato ed era giusto scontasse i suoi
trascorsi. Ma l'espiazione della colpa, per quanto giusta e meritata, non si
sarebbe protratta all'infinito nel tempo!
Si, Roma eternava nel metallo il ricordo della sua nuova
conquista e premiava con gli onori del trionfo il trentenne condottiero che
l'aveva attuata; avvinti in catene al carro trionfale del vincitore, gruppi di
valorosi combattenti ebrei – e con essi i simboli del Culto : il candelabro a
sette fiamme e la tavola dei pani di presentazione – percorrevano le strade
dell'Urbe in umiliante corteo; a vile prezzo innumerevoli Ebrei, i più giovani
e i più belli, venivano venduti schiavi in tutte le provincie dell'Impero
romano o morivano negli anfiteatri per divertire plebi crudeli; gli esilj si
succedevano agli esilj e l'età della più lunga passione che popolo abbia
sofferto incominciava.
Ma tutto ciò non sarebbe durato eternamente : la giustizia
dell'Eterno , compiutamente perfetta, garantiva che la pena sarebbe stata
proporzionata alla colpa e all'espiazione avrebbe fatto seguito il perdono.
Quindi, per quanto gravemente colpito dalla catastrofe
politica e minacciato dalla dispersione che i suoi Dottori prevedevano, il
popolo ebraico non chinò il capo rassegnandosi alla perenne perdita della
patria né rinunciò definitivamente ai suoi ideali nazionali.
Fiaccato nel corpo ma non nello spirito, guidato dalla
lungimirante sapienza dei suoi Maestri che, nella conservazione del patrimonio
spirituale degli Avi, vedevano il mezzo più idoneo a mantenere intatta, nello
spazio e nel tempo, l'unità della nazione e, in pari tempo, la fonte della sua
futura resurrezione politica, Israele trovò la forza per reagire e rifugiarsi
in un baluardo che si sarebbe dimostrato inespugnabile perfino al bimillenario
martirio : la Torà, dietro il quale attendere il giorno – vicino o lontano – in
cui avrebbe ricostruito lo Stato e riedificato il Santuario.
Lo Eterno, per bocca di Ezechiele aveva pur annunciato :
“ Eccomi ! Io stesso chiederò ragione delle mie pecore e
le ricercherò. Così, come il pastore va in cerca del suo gregge il giorno in
cui si trovi in mezzo alle sue pecore disperse, io andrò in cerca delle mie
pecore e le trarrò da tutti i luoghi dove sono state sparse in un giorno di
nuvole e tenebre. Le trarrò di fra i popoli e le radunerò dai diversi paesi; le
ricondurrò sul loro suolo e le pascerò sui monti d'Israele; lungo i ruscelli e
in tutti i luoghi abitati del paese”.
Fu così che Israele,confortato da questo e da innumerevoli
altri vaticini profetici che annunciavano la futura restaurazione politica e
cultuale della nazione, riesumò il giuramento che i suoi figli, deportati da
Nabucodonosor in Babilonia dopo la caduta del I° Stato ebraico e la distruzione del Tempio di Salomone avvenuta il 9 Av del
586 a. l'E.V., avevano solennemente pronunciato .
“Se ti dimentico o Gerusalemme , possa l'Eterno obliare la
mia destra! “, avevano esclamato gli esuli di Giudea, appendendo le cetre ai salici dell'Eufrate!
E i loro discendenti, animati da pari amore per la Città
Santa, fermamente decisi ad inserirne il ricordo in tutti i loro pensieri e in
ogni loro azione, rinnovarono il voto! E' così che da allora il ricordo di
Sion,inestinguibile simbolo della patria e della religione,accompagna il popolo
ebraico nel suo martoriato cammino sulle strade di tutto il mondo ed è
costantemente mantenuto vivo in ogni contingenza, gioiosa o triste, pubblica o
privata della sua vita civile e cultuale, da particolari usanze cui la
tradizione ha conferito valore ed importanza precettuale.
Di tali consuetudini, mai rimaste inadempiute nel corso
dei secoli, per quanto riguarda quelle a carattere civile, nelle conversazioni
radio sul 9 di Av degli anni scorsi è
già stato fatto largo cenno; non così invece per quelle sinagogali ,per cui
anziché incorrere in una ripetizione, mi sembra opportuno soffermarmi d
illustrare, sia pure per sommi capi,quest'ultime nella forma che assumono nel
corso dei riti celebrativi di questa luttuosa giornata. Ovunque abbia sede una
collettività ebraica, piccola o grande, di rito italiano, ashchenazita o
spagnolo, nelle Sinagoghe spoglie d'ogni preziosa suppellettile , siano esse
modesti Oratori sguarniti d'ogni artistico pregio o, com'è da noi in Italia,
stupendi edifici cui l'insuperabile arte di sommi artisti- quali ad esempio il
Brustolon e il Longhena – abbia donato splendore, la sera in cui ha inizio il
digiuno di Tish'à be-av e il mattino successivo , si svolgono riti pieni di
mestizia e dolore.
Spento ogni lume, perfino la lampada che perennemente arde
dinanzi all'Arca in cui si custodiscono i sacri rotoli del Pentateuco, quando
occorre alla tremula luce di esili candele, i Figli di Sion in esilio si
chinano in pianto sui formulari di preghiera.
Risuonano tristi antiche melodie e nel canto degli
ufficianti,ora alte ora accennate,ritornano con nitida chiarezza illustre
figure ed avvenimenti ferali di un remoto o più recente passato.
Dalle “Lamentazioni” ,risorge Geremia , il Veggente di
Anathoth. Testimone oculare del disastro che investe la metropoli ebraica, con
incomparabile eloquenza e tremendo realismo, egli descrive le devastazioni, gli
eccidi e le deportazioni massive a cui ha assistito; con virile coraggio ne indica le cause e in disperato sconforto
si strugge per non poterle recare consolazione alcuna : “ Cosa posso a te
comparare, a te paragonare o Figlia di Gerusalemme! Cosa posso uguagliare a te,
si da porgerti conforto o vergine Figlia di Sion! “ (Lamentazioni).
Da un Pentateuco abbrunato, privo d'ogni ornamento di
argento o seta, rivive Mosè che ammonisce Israele sulle sue colpe future e
chiamando a testimoni il cielo e la terra, gli predice:
“Vi disperderà il Signore fra i popoli e rimarrete in
piccolo numero fra le nazioni in cui Egli vi avrà trasportati” (Deuter.4,27).
E all'Arciprofeta e al “Profeta del dolore”, fa corte e
s'accompagna una nobile schiera di poeti sinagogali : Jehudà ha-Levì, David
ha-Levì Chazaq, Avraham ben Meir Chazaq e innumerevoli altri anche ignoti, che
evocano con mirabili concetti in prosa e in poesia le gravissime sciagure
accadute in questa funesta giornata e, risalendo nelle ere, gli ebraici mali
della loro epoca che ne sono la prosecuzione : la distruzione del I° e del II°
Tempio, la rovina dello Stato, le persecuzioni di Domiziano, Traiano e Adriano;
la rivolta di Barcohbà e la resa di Bethar; il martirio affrontato da Rabbì
Aqibà e dei suoi illustri colleghi per non venir meno alla loro missione di
Maestri della sacra Legge ; e via dicendo, fino all'espulsione dalla Spagna e
dal Portogallo.
Un'interminabile rassegna delle sofferenze ebraiche nei
secoli, comunque incompleta,che congiunta al digiuno più stretto immerge per ore ed ore gli Ebrei nei
patimenti spirituali e corporali più profondi.
Sino al momento in cui – secondo la tradizione l'una dopo
il mezzogiorno – il fuoco cessò la sua opera demolitrice, lasciando in piedi il
muro occidentale del Santuario che divenne poi la meta aspirata e sospirata
d'ogni pellegrinaggio in Terra Santa della nostra gente; il rudere dinanzi al
quale, col pensiero e col corpo, s'inchinano reverenti da secoli e secoli i
Figli d'Israele.
Cessano allora i lamenti , si spengono i canti elegiaci e
il cocente dolore che ha lungamente
prostrato gli animi si placa . Nel volgere del tempo si trasforma in rassegnazione
: “Dio dà, Dio toglie, sia sempre benedetto il Suo Nome” e dalla rassegnazione
affiora l'incrollabile certezza che il popolo peccatore otterrà il divino
perdono e godrà il beneficio di due grandi prodigi : la riconquista della
perduta sovranità e la riedificazione della Casa di Dio.
Si sono compiute le profezie che annunciavano la rovina di
Israele, si avvereranno quelle che predicono la redenzione delle sue colpe,la
sua rinascita politica e la ricostruzione del Santuario!
E' ormai sera,i Templi si rivestono di preziosi arredi;
gli uomini ebrei indossano i paramenti di rito che al mattino avevano riposto
in segno di lutto e fra le luci gioiose che illuminano a festa le Sinagoghe,
torna a risplendere la lampada dell'Arca.
Non più ammonitrice ma consolatrice,la voce del
Legislatore che proclama al popolo di Israele la longanimità
dell'Eterno,risuona da un Pentateuco sfarzosamente adornato.
Gli rispondono Osea e Isaia, pronunciando solenni promesse
in nome dell'Altissimo :
“Guarirò la loro caparbietà, ritornerà loro il mio amore,
poiché si è estinto il mio sdegno (Osea,14,5), annuncia l'uno; e l'altro
conferma e precisa : “Allo stesso modo che un uomo è consolato da sua madre,
così io vi consolerò e in Gerusalemme sarete racconsolati “ (Isaia, 66,13).
In queste autorevoli premesse che pongono fine alle
cerimonie del “ V° digiuno” ( così viene appellato dai Ritualisti il digiuno
del 9 Av, a motivo che cade cronologicamente nel
5° mese dell'anno lunare ebraico), il popolo ebraico ha
fermamente creduto per 1887 anni ed oggi che ha espiato le sue colpe e lo
Stato, risorto dal sacrificio di milioni e milioni dei suoi morti e dal volere
dei suoi figli attuali è una miracolosa e tangibile realtà, con inestinguibile
fede attende il compiersi del secondo prodigio.
Risorga dunque il Santuario dalle sue rovine, diventi
secondo l'intenzione del Re sapiente che per primo lo aveva costruito Casa di
preghiera per tutte le genti e da esso, presto e per sempre,s'innalzi e
s'espanda nell'immensità dei cieli la prece dei popoli affratellati nel Culto
dell'Eterno.